domenica 9 novembre 2008

Nicolò Barabino, ascesa borghese, corsi e decorsi del cattolicesimo italiano


Il lavoro di Nicolò Barabino è forse uno degli specchi più chiari dell’Ottocento, ma forse anche una delle esperienze artistiche maggiormente sottovalutate. La grandissima diffusione dei suoi lavori su tappezzerie, cartoline, arazzi… che hanno portato a sfiorare il kitsch e il pessimo gusto, hanno forse snobbisticamente indotto a trascurare il ruolo di questa figura che può invece essere considerata una delle più importanti del nostro Ottocento.
Il suo percorso si intreccia infatti in maniera paradigmatica a quelle che sono le esigenze della nascente società italiana.
Innanzitutto una riflessione andrebbe condotta sulla Firenze ottocentesca, che viene ad assumere per le folte comunità straniere presenti sul suo territorio, l’immagine di città santa, in cui far rivivere una religiosità magica e medievaleggiante. Si pensa spesso che tale immagine (così come il caso dei Nazareni), sia un’elemento esclusivo degli artisti stranieri in Italia, come le decorazioni di Overbeck (1830) alla Porziuncola di Assissi in Santa Maria degli Angeli, ma il Barabino con i mosaici di Santa Maria del Fiore, rappresenta il corrispettivo italiano. Questo fatto è un indice particolarmente significativo perché dimostra come dopo la metà del secolo, la città di Firenze, la sua diocesi e in qualche modo per estensione la nascente società italiana, fosse disposta a rappresentarsi come “cuore sacro d’Italia”. Il culto quasi religioso che viene a costruirsi attorno alla città di Firenze diviene a partire dagli anni ’70 uno dei principali strumenti di propaganda per la ricattolicizzazione della società europea. Il culto mariano costruito durante il romanticismo sembra approdare sulle rive dell’Arno e il lavoro di Barabino si rivela essere non solo il promotore, ma uno dei principali fautori di questo culto cattolico-fiorentino che assume rapidissimamente rilevanza europea.
La diffusione delle immagini sacre di Barabino attorno al finire del secolo e l’aquisto della “Madonna degli ulivi” da parte di Margherita di Savoia nel 1887, sono indici del successo di tale politica, ma sono in realtà un momento diverso e successivo rispetto alla misticizzazione della città.
Rispetto alla costruzione dell’immagine possiamo riconoscere un’elaborazione ed un’affinamento dell’iconografia orientalista proposta dal Palagi ed una sensualità distante che discende direttamente da Ingres. L’immagine della Madonna degli Ulivi, costruita per l’artistocrazia ligure e per i nuovi villeggianti della riviera si colloca in qualche modo sulla stessa scia. Il volto ombroso della Vergine, ne allontana la sensualità in una trascendenza astratta, così come i veli e i turbanti rendono la proposta iconografica delle opere del Barabino in una linea di contrapposizione/attrazione verso la società contemporanea, che relega il sacro ad un Oriente lontano e inattuale. Significativa risulta invece l’attualizzazione pietistica degli afreschi di Palazzo Tursi a Genova, in cui per i poveri orfanelli viene in soccorso la generosa mano dei patrizi locali. L’opera del Barabino sembra quindi essere specchio profondissimo dei vizi e delle virtù della società tardo-ottocentesca: Firenze che perde il ruolo di maestra politica e diviene cuore mistico della nazione (sottraendo a Roma il primato che invece le spetterebbe), il cattolicesimo che si fa pietoso e pratico, il misticismo che viene allontanato in Oriente (tratti essenziali della crescita borghese), le vicinanze con la macchia e l’accademia (Dante incontra Matelda), l’avvento della società dei consumi (tappezzerie e cartoline), i rapporti di somiglianza ed interiorizzazione dell’esperienze romantiche straniere in Italia. Insomma quanto basta per essere un maestro.

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