lunedì 24 novembre 2008

Parigi a Torino: la galleria Subalpina

Nel 1864 il Parlamento approva il trasferimento della capitale del Regno da Torino a Firenze, una trasformazione urbana e politica che trova il suo epicentro nella subalpina Piazza Carlo Alberto.
La città di Torino, le sue elite e i suoi ceti dominanti, avevano portato a compimento negli anni successivi all'Unità Nazionale il percorso risorgimentale sabaudo che poneva nella città piemontese la naturale capitale del nuovo Regno d’Italia. Questo processo prevedeva innanzitutto l’ampliamento del Parlamento, la costruzione di una nuova ala e facciata capace di simboleggiare il compimento di un percorso iniziato con il trasferimento della sede sabauda da Chambery alla città di Torino.
Piazza Carlo Alberto rappresenta quindi il cuore di queste trasformazioni e dopo il 1859 sembra diventare il luogo simbolo della politica parlamentare. La nuova facciata presenta tutte le caratteristiche dell’Ottocento Sabaudo, uno stile da stazione che ritrovo nella monumentale facciata di Racconigi ed il cui sapore si pone in una linea di continuità con il gusto e il decoro dell'epoca del "buon Carlo Alberto": colonne in finto marmo bianco, grandi finestroni sull’ingresso ed un’armonia meccanica da disegno tecnico. L'aula del Parlamento, che non venne mai utilizzata causa la tarda fine dei lavori, è il simbolo silenzioso di un trasferimento e di un passaggio. Immagino l’imbarazzo con cui lo Stato nazionale terminò di pagare la costruzione della sala ormai inutile. Non voler troppo deludere e sottolineare un finale, ponendo in qualche modo le basi di un'Unità che per nascere doveva avere anche uno stile architettonico e semantico, meno compromesso dalle locali glorie piemontesi, insomma uno "stile nazionale". Quello che però colpisce (mi baso sulle fonti del testo prezioso di Loretta Monzoni: "Il disegno e le architetture della città eclettica", Liguori editore) sono le azioni di recupero e riconcettualizzazzione che della piazza vengono messe in atto nel decennio successivo. La perdita del suo politico crea in Torino un "disconoscimento architettonico": lo sguardo non si volge non verso Roma, ma guarda oltralpe. Una grande speculazione edilizia cerca infatti di riconfigurare la città come luogo vitale e attivo, come città moderna e mondana ricalcando le ricerche in voga in quegli anni a Parigi. Una città in cui commercio ed industria sono i nuovi poli di sviluppo e successo. La Galleria dell’Industria Subalpina con i finestroni da Opera Garnier, contiene in sé le stesse mitologie di città moderna e di rappresentazione borghese che l'architetto francese mette in scena a Parigi. Quello di Torino è però un rinnovamento timido, forse disilluso, sicuramente un po’ forzato. Schiacciata tra il Parlamento e piazza Castello, nascosta dai portici della piazza, la galleria non riesce a trovare il coraggio di riconfigurare l’antica capitale in un leggero polo di mondanità e ricchezza, come invece riuscirà a fare nella più ricca e solida Milano la galleria Vittorio Emanuele. A Torino sarà un altro tipo di idea di industria a plasmare la città verso la fine del secolo, non quella plutocratica e mondana decantata dalla galleria.

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